martedì 20 dicembre 2016

Fuga da Reuma Park

Me lo ricordo come se fosse ieri quando, uscita dal cinema dopo Il cosmo sul comò mi domandai se tra gli ultimi lavori del trio Aldo Giovanni e Giacomo e quello fosse successo qualcosa.
Tornai a casa con un po' di magone, però il magone passò, quando, la sera seguente, infilai il VHS di Tre uomini e una gamba e mi sentii immediatamente meglio.
Da allora sono passati quasi dieci anni: Fuga da Reuma Park mi ha delusa forse anche di più e non ho nemmeno la tv col videoregistratore per consolarmi.
Insomma, partiamo male.



















A Reuma Park, un parcogiochi fatiscente riadattato a casa di riposo, si rincontrano Aldo Giovanni e Giacomo, tre brillanti attori comici ormai in pensione che lavoravano insieme,ma che hanno perso i contatti da tanti anni.
Come da titolo, i tre provano a elaborare un piano di fuga dall'ospizio, gestito dall'arcigna infermiera russa Ludmilla (S. Fallisi).

Purtroppo non si ride, nonostante io abbia trovato piacevoli -e quasi un salto al passato, visto che sono frequenti anche in altri loro film-le incursioni dei vari personaggi interpretati dal trio. L'unico momento idivertente è stato durante i vecchi sketch mostrati in tv nel centro anziani, però chiaramente non basta per farmi esprimere un giudizio positivo.

Il film voleva essere un omaggio ai primi 25 anni di carriera di Aldo Giovanni e Giacomo, che iniziarono la carriera con questa formazione dopo un breve periodo di "duo" formato da Aldo e Giovanni.
Purtroppo se una persona non li conoscesse da anni, oggi resterebbe profondamente delusa.
Ed è un vero peccato, perché la comicità di questi attori è qualcosa di unico che non si trova da nessun'altra parte. Qualcosa che funziona alla perfezione grazie alla complicità dei tre comici.
Questo film invece sembra raffazzonato, fatto da persone inesperte che si ritrovano per la prima volta a mettere insieme le idee. Sembra una lunga, lunghissima pubblicità fatta di battute scadenti come "è giusto" che sia dal momento che vuole (e tenta di) far ridere a tutti i costi ma ha come obiettivo vero quello di vendere un prodotto.
Una delusione vera.
G.

sabato 17 dicembre 2016

Non c'è più religione

Dopo aver sfornato i riuscitissimi Benvenuti al Sud e Benvenuti al Nord, Luca Miniero torna a collaborare con Claudio Bisio per una commedia che si allontana dal classico cinepanettone ma che porta con sé il classico sapore natalizio dei film bruttini che escono nelle sale in questo periodo.

Purtroppo, infatti, nonostante il regista sia sicuramente capace, e nonostante il cast sia di tutto rispetto (oltre alla coppia Bisio-Finocchiaro, che funziona sempre, c'è anche un poco riconoscibile Gassmann), la trama del film lascia parecchio a desiderare.

Siamo a Portobuio, un'isoletta italiana di pochi abitanti.
Nonostante il Natale sia ancora lontano c'è grande fermento per le prove del presepe vivente, che ha reso famosa la città stessa.
Sorge però un problema: Lupo, che di solito fa il bambinello e che è in effetti l'unico bambino all'interno della comunità cristiana, è ormai troppo grande. Suor Marta (A. Finocchiaro) dovrà quindi chiedere aiuto al sindaco appena eletto (C. Bisio) che proverà a coinvolgere la comunità musulmana, guidata da un amico di infanzia dei due (A. Gassmann) ormai convertitosi per "farsi prestare" un bambino per l'occasione.

Le note dolenti sono moltissime: innanzitutto del fat shaming nei confronti di Lupo, che con lo sviluppo è parecchio ingrassato e deve dimagrire per fare Gesù Bambino.
Messaggio assolutamente sbagliato: il primo quarto d'ora del film è incentrato su questo preadolescente che viene fatto allenare e sudare per poter prender parte al presepe vivente. Sarebbe semplicemente bastato sottolineare come Lupo è ormai troppo grandicello per la parte di un neonato.
Nulla contro l'idea che i bambini in sovrappeso debbano dimagrire, anzi, ma solo ed esclusivamente perché non fa bene alla salute avere quei chili in più.
Il pensiero che qualche ragazzino al cinema possa aver solo per un attimo pensato che bisogna essere più in forma per ottenere qualcosa (che non sia, mi ripeto, la salute) mi ha fatto venire l'orticaria. Per non parlare della pessima battuta del sindaco che alla vista del ragazzino esclama che è pronto per fare il bue. Orrore.

Suor Marta è un grande punto interrogativo: che accento ha? Talvolta pare del nord, talvolta del sud, perché? E a che scopo?

Ancora peggio poi il discorso che fa da fil rouge dell'intero film: La tolleranza tra due comunità così diverse non può certo crearsi se i pregiudizi provengono da tutti.
Anche il sindaco, che sostanzialmente vuole portare due mondi opposti a conoscersi meglio, è la prima fonte di razzismo: basti pensare al fatto che quando una bambina della comunità musulmana lancia lo zaino perché tornata da scuola, è spaventatissimo tanto quanto i personaggi che sono disegnati come volutamente bigotti.
Sarebbe stato sufficiente far vedere come lui, superiore al preconcetto, si facesse una bella risata di fronte alla paura dei suoi concittadini per mandare un messaggio totalmente diverso.
Se da un lato, quindi, abbiamo questa comunità cristiana mentalmente chiusa e retrogada, dall'altro quella musulmana è guidata da un uomo abile nell'arte del ricatto e del raggiro.

Insomma, un messaggio anche qui completamente sbagliato, volto a creare caricature e a rafforzare i luoghi comuni che dovremmo anzi eliminare.

Un grande peccato per un film che invece avrebbe potuto sin dal primo momento dimostrare come collaborazione e accettazione del diverso siano da considerare valori e non rinunce.

G.

mercoledì 14 dicembre 2016

Una vita da gatto

Il miliardario Tom Brand (K. Spacey), impegnato nei progetti di realizzazione di un grattacielo, vive per il lavoro, trascurando così la sua seconda moglie (J. Garner) e la figlia.
Desideroso di recuperare i rapporti con la bambina, che sta per compiere undici anni, decide di accontentarne la richiesta: le regalerà un micino, che la bambina chiede per ogni compleanno.
Dopo l’acquisto Tom, ancora distratto dal lavoro, avrà un incidente, e, mentre il suo corpo è in coma, la sua mente e la sua parola si risveglierà nel corpo del gatto appena acquistato (dall’immenso C. Walken, nei panni di un venditore un po’ mistico un po’ preveggente).
Potrà così guardare le cose che riguardano lui e la sua famiglia allargata –completano il quadro famigliare infatti anche l’ex moglie, il figlio avuto da questa, e la bambina che lei ha avuto in seguito-  da…un’altra prospettiva, del tutto nuova!

Nonostante il nome degli attori protagonisti sia di tutto rispetto, e, anzi, abbia di molto alzato l’asticella delle mie aspettative, questa commedia non risulta affatto brillante come si potrebbe pensare.
Indipendentemente dalla scarsa credibilità delle vicende, che può comunque essere accettata vista la fetta di pubblico giovanile che la pellicola vuole raggiungere (ma è vista e rivista, nulla di nuovo sotto il sole!), la sceneggiatura è noiosa e piuttosto deludente.
Molto bella invece la fotografia e interessanti le scelte registiche di Sonnenfeld.
Poco realistici sono pure gli effetti speciali che seguono i movimenti del gatto-Tom una volta a casa, e persino gli attori non sembrano essersi davvero impegnati nella realizzazione del film –eccezion fatta per Walken.
Probabilmente il giudizio negativo dipende anche dal doppiaggio: un gatto con la voce di Kevin Spacey deve essere quasi per forza interessante!

In definitiva:  Goffa commedia natalizia, meglio indubbiamente della maggior parte di quelle che popolano il cinema a dicembre, ma assolutamente al di sotto della qualità a cui ci hanno abituato questi mostri sacri del cinema.


G.