lunedì 27 febbraio 2017

Fiore

Poche parole, molti sguardi. Questa è la materia prima di Fiore, film drammatico di Claudio Giovannesi che porta in scena gli ultimi in maniera delicata e piena di dignità.

In un carcere minorile Daphne (D. Scoccia) arrestata per spaccio diventa giorno dopo giorno donna, tra litigi, voglia di libertà, e soprattutto lettere clandestine a Josh (J. Algeri), che, trovandosi nell'ala maschile, non può avere altri tipi di contatto con lei.

La caratteristica di Claudio Giovannesi sta nel dare spazio a attori non professionisti (Daphne Scoccia viene scelta dal regista dopo essere stato a pranzo nel ristorante in cui fa la cameriera; Josciua Algeri è un ex detenuto, che svolge anche il ruolo di consulente esterno vista la sua esperienza), unendo però a questi dei nomi di punta, come Valerio Mastandrea che in questa pellicola interpreta Ascanio, padre di Daphne, appena uscito dal carcere pure lui.












Con le sue scelte tecniche Giovannesi crea quasi un genere nuovo, a metà tra film e docufilm. Non si capisce dove ci sia sceneggiatura e dove semplice occhio puntato sulla realtà dei fatti.

Non si parla molto in Fiore.
Si attende, piuttosto: c'è un forte senso di attesa che investe le persone e le cose e che lascia allo spettatore un'amara ma ancora incantata voglia di riscatto. Un disperato bisogno di amore permea tutto il film e ci fa sentire tutti parte di un unico grande movimento, che è la vita.

Una sorta di moderno "Fleurs du mal" che ci permette di trovare il bello anche nei posti dove non ti aspetteresti di trovarlo.

G.

domenica 26 febbraio 2017

Smetto quando voglio- Masterclass

Pietro Zinni (E. Leo) si rimette alla guida della banda criminale di laureati più famosa d'Italia, ampliata rispetto al passato e più agguerrita che mai nel riuscitissimo sequel di Smetto quando voglio firmato di nuovo da Sidney Sibilia.

Dopo i minuti iniziali, in cui vediamo Pietro a colloquio con Giulia (V. Solarino) e il loro bambino, facciamo un salto indietro di un anno e mezzo e ritroviamo i ricercatori alle prese con le loro nuove vite: qualcuno è in carcere, qualcuno in centro di recupero, qualcuno sta provando a rimettersi in gioco.
La quotidianità viene interrotta però da una proposta da parte dell'ispettrice Paola Coletti (G. Scarano): se Zinni e i suoi riusciranno a dare alla polizia trenta nuove droghe intelligenti, la loro fedina penale tornerà pulita.
Come rifiutare?

Ecco allora la ricostruzione della banda: tornano Alberto (S. Fresi) con la promessa di smettere definitivamente con le droghe; tornano Giorgio e Mattia (L. Lavia-V. Aprea) e la loro vastissima conoscenza umanistica; torna Bartolomeo (L. De Rienzo) che può così staccarsi dalla sua famiglia, che lo opprime, torna l'archeologo Arturo (P. Calabresi) e l'antropologo Andrea (P. Sermonti) che nel frattempo collabora col carrozziere che non lo assunse per colpa della sua laurea a trovare giovani laureati che provano a nascondere il loro titolo di studio.

Ma si uniscono a questo cast così variegato anche tre nuovi elementi: Giulio (M. Bonini), medico che non fece il giuramento di Ippocrate e che grazie alla sua vasta conoscenza dell'anatomia umana vive in Thailandia partecipando a combattimenti clandestini; Lucio (G. Morelli) ingegnere laureato col massimo dei voti che vende armi ai guerriglieri; Vittorio (R. Lisma) esperto di diritto canonico.

Sibilia riesce, nonostante il film sia davvero corale e ricco di attori di punta del cinema italiano, a non lasciare indietro nessuno.
Non c'è nessuno squilibrio, non ci sono personaggi che nascondono gli altri, in nessun punto questa commedia risulta essere confusionaria, rischio che si sarebbe potuto correre, mettendo così tanti personaggi in azione, e la bravura di regista e sceneggiatori (Sibilia-Manieri-Di Capua, quindi una nuova squadra rispetto a quella del film precedente) è la cosa più lodevole dell'intera pellicola.
La regia molto poco canonica è un marchio di fabbrica che già era stato apprezzato nel film precedente di questa trilogia -presto uscirà al cinema Smetto quando voglio- Ad Honorem- e che qui conferma quanto bisogno di novità ci sia nel cinema italiano.
E' evidente che si possa far ridere (ma anche riflettere) con un prodotto di qualità, e in questi anni, per fortuna, registi come Sibilia -che di certo non è l'unico: restando all'interno del cast del film basterà citare Edoardo Leo- lo stanno dimostrando, permettendo una nuova definizione di commedia in Italia.

La sceneggiatura è trascinante: dialoghi serrati, comicità di situazione piuttosto che di battuta, ma comunque grande divertimento grazie agli scambi di battute tra i protagonisti.

Al lato più comico il regista affianca quello puramente "d'azione" e lo fa bilanciando le due cose in maniera magistrale, anche grazie all'aiuto della colonna sonora.

Parlando poi degli attori ogni ruolo sembra essere scritto esattamente per chi lo interpreta: espressioni facciali, toni di voce, movimenti, frasi...

Il progetto di Sydney Sibilia sta avendo un meritato successo.
Non vediamo l'ora di vedere come andrà a finire!

G.

martedì 14 febbraio 2017

C'era una volta Studio Uno


Per la regia di Riccardo Donna, questa nuova miniserie divisa in due serate di RaiUno racconta il dietro le quinte del varietà Studio Uno andato in onda nei primi anni ‘60 ideato da Antonello Falqui e Guido Sacerdote e che vedeva tra i suoi presentatori la grande Mina, a cui praticamente è dedicato tutto il primo episodio.



Tra le protagoniste ci sono tre ragazze, Giulia (Alessandra Mastronardi), Elena (Giusy Buscemi) e Rita (Diana Del Bufalo) che lavorano negli studi rai, rispettivamente come segretaria, ballerina e sarta aspirante cantante, le cui vite si inseriscono inevitabilmente nella realizzazione di questo nuovo show.

Questa miniserie ti fa scoprire tutto il lavoro che c’è dietro a quello che è stato uno degli storici varietà della televisione italiana ma non solo perché c’è anche la storia di vita di queste ragazze che inseguono i loro sogni, inoltre scenografie, costumi e soprattutto le canzoni, i grandi successi degli anni ’60,  portano lo spettatore ad andare indietro nel tempo.

È una fiction un po’ per tutti, per vivere insieme quei tempi che chi ha vissuto ricorda nostalgicamente.


F. 

lunedì 6 febbraio 2017

Zootropolis

Non pensate a Zootropolis come a un film da bambini: vi privereste di un piccolo gioiellino Disney, che merita assolutamente di essere visto da grandi.

La protagonista del 55° classico Disney è la coniglietta Judy, che sin da bambina vuole diventare poliziotto.
Corona il suo sogno, nonostante le preoccupazioni dei genitori, e diventa così il primo poliziotto-coniglio di Zootopia, dove, come lei spesso ricorda, ognuno può diventare ciò che desidera.

Ottimista e fiduciosa, Judy deve presto scontrarsi con la realtà: pare sia di una taglia troppo piccina per le missioni pericolose che lei si sente perfettamente in grado di fronteggiare, e il Capitano preferisce lasciarle svolgere l'attività di ausiliario del traffico.

Ma Judy è entusiasta, continua a credere in se stessa, e grazie alla sua tenacia si troverà coinvolta nella prima indagine della sua vita.
A accompagnarla nelle ricerche la volpe Nick, truffatore furbetto che lei aveva avuto modo di conoscere il primo giorno di lavoro.

Il film tratta temi "adulti" quali i luoghi comuni di cui spesso si è vittime a causa delle proprie origini; il razzismo che spesso colpisce chi ci circonda nell'indifferenza o ancora nell'inconsapevolezza (all'inizio del film un animale si rivolge a Judy dandole della tenera e lei risponde che un conto è che a dire tenero a un coniglio sia un altro coniglio; un conto è che l'aggettivo arrivi da un altro animale: un po' come succede nel processo di riappropriazione di termini connotati come razzisti all'interno delle comunità nere).

Ma è anche un film ironico, con diversi momenti esilaranti!












Alcune chicche disseminate nel cartone sono:
-Citazioni ad altri film e serie tv, come "Il Padrino" e "Breaking bad"
-Citazioni a marchi famosi, come la apple (basta guardare il logo del telefono della protagonista!)
-La presenza di Gazelle, cantante famosissima con la voce di Shakira


Grandi complimenti vanno quindi alla squadra di sceneggiatori: Jared Bush e Phil Johnston; oltre che a tutto il team che si nasconde dietro la grafica, davvero spettacolare.

Voto: 8/10!

G.

domenica 5 febbraio 2017

La battaglia di Hacksaw Ridge

Mel Gibson si cimenta nel dirigere la vera storia di Dobson Doss, primo obiettore di coscienza, che operò durante la seconda guerra mondiale, senza mai utilizzare un'arma.

Cresciuto in una famiglia modesta, secondo principi religiosi molto solidi e altrettanto rigidi, Dobson si arruola giovanissimo, pronto a servire il paese come medico e con la convinzione di non toccare mai armi da fuoco.
Convinto che in un paese che si sgretola giorno dopo giorno sia importante provare a rimettere insieme i pezzi, piuttosto che contribuire alla distruzione, Dobson vivrà momenti non facili.
Ricattato dai superiori, reso vittima di bullismo dagli altri soldati semplici, la sua scelta coraggiosa lo porterà nella storia.

Il film, candidato a sei oscar, riesce a coinvolgere lo spettatore al punto giusto, nonostante il cast non annoveri nomi stellari: Nei panni del protagonista vediamo Andrew Garfield, che se la cava piuttosto bene ad interpretare un giovane fuori dagli schemi, quasi un outsider, che non assomiglia a nessuno e non fa nulla per cambiare; sua promessa sposa è la bellissima Teresa Palmer, che si muove come una macchia di colore in un mondo grigio quale può essere quello in periodo di guerra; fondamentale è la presenza del Sergente Howell, un Vince Vaughn che non ci fa assolutamente rimpiangere i suoi ruoli più comici.

La bellezza di questo film è infatti racchiusa in elementi più tecnici: fotografia e montaggio. La prima è firmata da Simon Duggan, il secondo da John Gilbert.

La luce è l'elemento davvero caratterizzante dei vari personaggi e delle varie ambientazioni nelle immagini che scorrono sullo schermo; l'intreccio è ben reso proprio grazie al montaggio che ci permette di scandagliare meglio l'animo del protagonista maschile.


Bella anche la sceneggiatura, avvincente, sopratutto tenendo in considerazione che siamo di fronte a un film di guerra. Gli sceneggiatori -Andrew Knight e Robert Schenkkan- riescono, infatti, a bilanciare molto bene la "cronaca" alla storia biografica dei personaggi.

G.