martedì 31 gennaio 2017

Captain Fantastic

Un film così surreale da impedirti di scegliere da che parte stare.
Così potrebbe essere descritto Captain Fantastic secondo lungometraggio diretto e sceneggiato da Matt Ross.

Ben (V. Mortensen) si impegna a educare i suoi sei figli senza l'aiuto della moglie (che muore dopo mesi di ricovero per via di un disturbo bipolare) nel modo meno convenzionale che si sia mai visto.
I suoi ragazzi, senza andare a scuola, si allenano duramente ogni giorno, parlano più lingue, sono esperti di attualità, potrebbero sopravvivere nelle foreste solo con un coltello a portata di mano, e sanno orientarsi grazie alle stelle.


Beh, detta così pare che l'educazione impartita a questi giovani non abbia difetti: fisicamente preparati, colti in diversi campi, sembra proprio che questo padre stia facendo un ottimo lavoro.
Ma i suoi figli non sanno nulla del mondo: Conoscono Nike, la Vittoria, non sanno cosa siano le Nike, le scarpe sportive; sanno uccidere un animale e cibarsene, non sanno cosa sia un frullato; sanno snocciolare i rischi dello scalare pareti rocciose, non conoscono i videogiochi.
Insomma, dal più grande al più piccolo vivono in una bolla, totalmente isolati da tutto, e questa cosa inizia a pesare loro.
E forse non è solo una loro preoccupazione...

Fotografia magnifica per questo film drammatico ma ricco di momenti divertenti e soprattutto di spunti di riflessione circa quello che stiamo facendo e il modo in cui stiamo costruendo il nostro futuro.

Certo, le scelte di Ben e della sua defunta moglie sono volutamente esagerate, ma alla luce delle differenze tra questi hippies e quella che è la società odierna e il meccanismo di educazione impartito dai nuclei familiari con cui si confrontano ci si domanda quale strada possa essere la migliore.

La risposta è semplice e facilmente intuibile: la via di mezzo.

sabato 28 gennaio 2017

La la land

"Dedicato ai folli e ai sognatori". Così dice la locandina italiana del film che si è aggiudicato, eguagliando così Eva contro Eva e Titanic, ben 14 nomination agli Oscar, e che ha vinto, record, 7 Golden Globes su 7 nomination ricevute.
Entrare al cinema con un'aspettativa altissima, ecco cosa si rischia.
Aspettativa che naturalmente non può venire attesa al 100%, nonostante questo film sia esteticamente perfetto.

Senza soffermarci troppo sulla trama, che è la cosa meno importante, possiamo semplicemente dire che vivremo le avventure di Sebastian (Ryan Gosling) e Mia (Emma Stone), che si conoscono per caso a Los Angeles.
Pianista jazz pieno di sogni, lui, barista aspirante attrice e sceneggiatrice, lei, tra i due nascerà una storia d'amore.

Il film ci viene presentato come un musical, ma non dobbiamo assolutamente pensare che la musica sia invadente, anzi: protagonista assoluta eppure discreta, non ci farà mai perdere il filo del discorso.

Il vero spettacolo è la regia di Damien Chazelle, che ne è anche sceneggiatore. Il giovanissimo Chazelle sembra seguire le impronte di Woody Allen inserendosi all'interno di una scuola di cinema semantico che migliore non potrebbe essere.

Un gioiello è anche la fotografia, di Linus Sandgren. Impossibile non innamorarsi dell'aspetto esteriore del film, del suo involucro che, in definitiva, ne è anche il suo contenuto.

La colonna sonora, invece, è stata interamente composta da Justin Hurwitz, i testi sono di Justin Paul e Benj Pasek.

I due attori danno una prova di bravura non indifferente: ballano, cantano e recitano.
Recitano soprattutto: alcune sequenze del film sono già iconiche, alcuni scambi di sguardi tra i due protagonisti ti si piazzano dritti dritti in gola, e là restano.

Fa da sfondo una città come Los Angeles piena di paradossi: c'è una folla rumorosa e una silenziosa solitudine allo stesso tempo; c'è la luce, un arcobaleno di colori, ma c'è anche il buio che avvolge le sagome dei personaggi.

Volteggeremo nell'aria con Sebastien e Mia, ci lasceremo trasportare dalle loro speranze, ci commuoveremo pensando alla differenza tra realtà e fantasia, vivremo, concretamente, un' esperienza tra immaginario e non, avvolti da un'atmosfera onirica che ci farà perdere i contatti con ciò che ci circonda, fino a che non si accenderanno le luci.

Ecco, si torna alla vita vera...ammesso che questa non lo sia.


"Dedicato ai folli e ai sognatori", appunto.

G.

domenica 22 gennaio 2017

Nemiche per la pelle

Due donne all'apparenza agli antipodi si ritroveranno a doversi dividere un'importante eredità: Paolino.
Ma andiamo per ordine: Le due donne sono Fabiola (C. Gerini) e Lucia (M. Buy), la prima materialista, cafona e poco attenta ai bisogni altrui, la seconda terapista per animali, sostenitrice del bio e idealista fino al midollo.
Paolino è invece il figlio di Paolo, ex marito di Lucia e attuale marito di Fabiola, che muore lasciando a loro la tutela del figlio di una relazione extraconiugale.
Le due donne si odiano, da sempre. Saranno però costrette a vivere momenti di condivisione  e di intimità, per il bene del piccolo.

Commedia che fa sorridere, certo senza pretese. Molti i luoghi comuni, molte le scenette altamente prevedibili.
Ciononostante il film si lascia assolutamente guardare, grazie non solo all'interpretazione delle due protagoniste (nel cast ricordiamo anche P. Calabresi, migliore amico del defunto Paolo nonché avvocato di Fabiola, e Giampaolo Morelli, fidanzato molto disorganizzato e immaturo di Lucia), quanto il disegno fatto delle due.
Fabiola è una rozza ma simpaticissima riccona, pronta a corrompere chiunque capiti sulla sua strada. La parlata sciatta, l'arredamento animalier del suo studio, i tacchi vertiginosi, accompagnano questo personaggio di cui è impossibile non innamorarsi.
Lucia è attenta agli animi degli animali che ha in cura, legge i fondi del tè, è fissata con le fibre: un "poliziotto cattivo" perfetto per bilanciare la coppia di imprevedibili neomamme.

I complimenti sono pertanto da fare non solo al regista, Luca Lucini, che è stato assolutamente in grado di non annoiare, nonostante l' intreccio non sia certo ricco di colpi di scena, ma anche alle sceneggiatrici: Doriana Leondeff e Francesca Manieri -con le quali Margherita Buy ha collaborato alla stesura del soggetto-.

Finale facilmente immaginabile, per questa commedia che comunque fa passare un'oretta e mezza.

G.

Collateral Beauty


Amore, Tempo, Morte.
Sono questi i tre elementi che caratterizzano tutte le nostre vite, come ci insegna Howard Inlet (W. Smith), brillante dirigente pubblicitario, prima che una tragedia devasti la sua esistenza.
Howard, infatti, dopo la perdita della figlia non riesce più a mettere insieme i pezzi della sua vita: non ha voglia di parlare, non ha voglia di mangiare, non ha voglia di cedere la società.
I suoi colleghi e soci (il trio K. Winslet- E. Norton- M. Peña) sono così, dopo vari tentativi, costretti ad assumere un'investigatrice privata che dimostri l'incapacità del loro "capo" nel prendere decisioni.
Ma l'investigatrice non è sufficiente, e per dimostrare lo stato di follia in cui riversa Howard, i tre colleghi riescono a coinvolgere un gruppo di attori amatoriali (K. Knightley-H. Mirren-J. Latimore) convincendoli a prendere parte a un piano del tutto surreale.

Il film ci insegna a a guardare tutto da un'altra prospettiva: nulla è completamente buono e nulla è completamente cattivo, se si conoscono le motivazioni di determinate azioni.

Di sicuro, oltre alla trama, ricca di simbolismo e volta alla commozione dello spettatore, che si sentirà coinvolto nelle vicende dei singoli protagonisti, riuscendo a empatizzare con quasi tutti, colpisce la regia di questo film, realizzata da David Frankel, per la prima volta alle prese con un film totalmente drammatico.


Splendida poi la sceneggiatura, firmata da Allan Loeb, e la fotografia realizzata da Maryse Alberti: questi due elementi, uniti alla colonna sonora, riescono nell'intento trascinante del pubblico, che si ritroverà più volte con gli occhi lucidi.


G.

mercoledì 11 gennaio 2017

(500) giorni insieme

"Questa è la storia di un lui e una lei..." ci informa una voce fuori campo.
Lui  (Joseph Gordon-Levitt) è Tom, un romantico laureato in architettura convinto di poter essere felice solo dopo aver incontrato il vero amore.
Lei (Zooey Deschanel) è Sole -Summer nella versione originale, tanto che il titolo del film è "500 days of Summer", e in effetti, la traduzione italiana non è veritiera se si considera che i due non staranno propriamente insieme durante quest'arco di tempo-, ragazza bellissima che dopo la separazione dei genitori ha smesso di credere nell'amore tanto da meritarsi battutine sessiste sul fatto che "la pensa come un uomo".

La commedia romantica ci parlerà della storia tra i due, dal colpo di fulmine di Tom fino alla fine della relazione, tra flashback, aspettative, scarti tra reale e immaginato, litigi e dialoghi.




Citando numerosi film (ricordiamo "Il laureato", che oltre a essere citato esplicitamente compare, visto che i due lo guardano in tv; "Mary Poppins" citato durante la scena del balletto che Tom fa, "Blade Runner" nel momento in cui Tom critica Sole riferendosi a lei come a una replicante...) e numerose scelte registiche (è evidente l'ispirazione ricevuta da Allen e da Jeunet in alcune scene: Lo schermo è diviso a metà e vediamo quella che è la differenza tra ciò che Tom si aspettava andando a casa di Sole e ciò che realmente accade; la stessa situazione genera reazioni molto diverse a seconda del momento della storia d'amore in cui si verifica; le cose che avevano fatto perdere la testa a Tom improvvisamente diventano i difetti peggiori di Sole..), Marc Webb passa per la prima volta dalla regia di videoclip a quella di un lungometraggio.

Nonostante la sceneggiatura debole e la trama piuttosto scontata, sono proprio le scelte operate dal regista e quelle della fase di montaggio a rendere il film un bell'esperimento, qualcosa di non troppo visto, grazie all'intreccio creato all'interno della trama.

Sicuramente da lodare è la colonna sonora: Pixies, Simon & Garfunkel, gli Smiths..ci faranno compagnia rendendo più drammatico, divertente o romantico ogni momento.

Ottimi sono anche gli attori, tra cui spicca, nonostante nell'arco del film si veda ben poco, Chloe Grace Moretz, nella parte della sorellina saggia di Tom.
G.

venerdì 6 gennaio 2017

Io & Annie




Miglior film, miglior sceneggiatura originale, miglior regia, miglior attrice protagonista (D. Keaton): questi i premi Oscar vinti nell'edizione del 1978 da Io e Annie commedia semantica che porta Woody Allen a essere considerato uno dei grandi nomi del cinema mondiale.

Non è tanto importante la storia in sè quanto il modo di raccontarla. Il film ha questa narrazione epifanica che spesso ritroveremo nelle pellicole di Woody Allen (che qui veste contemporaneamente le panni del regista, dell'attore protagonista e, con Marshall Brickman, dell'autore di soggetto e sceneggiatura).

Alvy Singer, comico in analisi da quindici anni affetto da iperattività immaginativa, racconta la sua storia con quello che deve essere stato il più grande amore della sua vita, Annie, a partire dai primi incontri, fino alla definitiva crisi.

La regia di Allen, innovativa indubbiamente, ci permette di viaggiare indietro nel tempo e creare situazioni paradossali: Alvy si ritroverà a parlare con i suoi ricordi, creando situazioni di sdoppiamento e straniamento.
Nel film saranno portate sullo schermo le immagini delle fantasie dei vari personaggi, e si creerà un legame che impedisce di capire dove termina la finzione e inizia la realtà.
Allen inoltre (per la prima di numerose volte) farà parlare i suoi personaggi fuori campo e ci permetterà di sapere cosa realmente pensano (per esempio sottotitolando i dialoghi),a dispetto di quanto dicano.

La sceneggiatura è la vera essenza del film: dialoghi e monologhi entreranno nell'immaginario collettivo, diventando classici e citazioni.
Alvy è in grado di fare un'analisi precisa e puntuale dell'amore e della vita, col suo pessimismo e il suo umorismo mai in conflitto tra loro.














Il film è chiaramente dedicato a Diane Keaton, che nella pellicola (come spesso succede) usa i suoi stessi abiti senza servirsi di costumisti e conserva alcuni comportamenti che la caratterizzano anche nella vita di tutti i giorni.
Titolo originale della pellicola è infatti Annie Hall, soprannome e cognome vero dell'attrice.
La ragazza, inoltre, era davvero la compagna di vita di Allen, il suo vero grande amore, come lui più tardi, dopo la rottura la definì.

Inoltre, inizialmente, il lungo girato della pellicola si incentrava sulla figura del comico.
Fu Allen a decidere il taglio di numerose scene e a trasformare così questo film, che per molti è da leggere come una vera e propria autobiografia della relazione tra i protagonisti, in una commedia romantica nevrotica.
Obiettivo centrato in pieno!


G.

martedì 3 gennaio 2017

Manhattan Nocturne

Porter Wren è un reporter newyorkese al quale sembra impossibile non confidare i propri segreti.
Vista la sua abilità nel risolvere casi complessi, Caroline, una giovane vedova, decide di chiedere il suo aiuto per risolvere il mistero nascosto dietro la morte di suo marito, il noto regista Simon Crowley.
Ma sarà davvero così lineare la richiesta della bella Caroline?


Il film è tratto da un romanzo di Colin Harrison, che deve essere indubbiamente interessante, poiché avvincente e intrigante è la trama del giallo.
Tuttavia, probabilmente a causa del montaggio e della colonna sonora, il film risulta piuttosto lento e noioso.
Non coinvolge tanto quanto potrebbe, e la risoluzione del caso passa in secondo piano rispetto alla pesantezza dello svolgersi delle sequenza.

Inoltre il finale è piuttosto deludente: non voglio spoilerare nulla, ma viste le premesse mi aspettavo certamente di più.

Ciononostante quello che mi preme sottolineare è la bellezza estetica del film: una magnifica fotografia ci accompagnerà tanto negli interni quanto negli esterni, e aiutata da scelte registiche canoniche ma d'effetto farà risultare bella ogni inquadratura.
Belli pure i costumi e le scenografie, che dimostrano come nulla sia lasciato al caso.
Così come eccellente è il lavoro degli attori: Jennifer Beals (che si vede poco) e Adrien Brody (entrambi sono pure produttori del film) sono esageratamente bravi; la sensualità di Yvonne Strahovski è un filo conduttore che guida l'intera trama.

Resta tuttavia l'amarezza per un film che avrebbe potuto essere molto, ma molto di più.

G.