giovedì 30 marzo 2017

La Bella e la Bestia (2017)

"E' una storia sai/
Vera più che mai..."

Quella de La Bella e la Bestia è una vicenda tanto conosciuta da rendere quasi superfluo anche il minimo accenno di trama, ma per completezza diciamo che quello che succede è quanto segue.
Un principe, tanto bello quanto altezzoso, rifiuta ospitalità durante una notte di pioggia ad una donna ritenuta troppo brutta per poter essere accolta nel suo castello dorato. La donna si rivela essere una strega, e il principe, la sua corte e tutto il villaggio di cui il principe si occupa sono così vittime di un tremendo incantesimo: il giovane (che in questa versione è interpretato da Dan Stevens) diventa una spaventosa Bestia, chi era al castello in quel momento si trasforma in oggetti comuni, ma parlanti, in questo castello che diventa così isolato da tutto e tutti; e il villaggio dimentica totalmente dell'esistenza di chi non fa più ritorno a casa, oltre che del principe stesso.
La tremenda punizione però può avere fine: Tutto tornerà alla normalità se la Bestia riuscirà a amare e essere ricambiato prima che l'ultimo petalo di una rosa incantata cada.

Come prosegue la storia lo sappiamo più o meno tutti: nel villaggio vicino arriva Belle (Emma Watson) con suo padre Maurice (Kevin Kline), una tipa un po' stramba a cui piace leggere, che non appare assolutamente interessata a quello che fanno le persone sue coetanee e a cui, soprattutto, non interessa minimamente Gaston (Luke Evans), il rozzo ma ambitissimo scapolo che fa strage di cuori.
Sarà proprio Belle, questa outsider d'altri tempi, a entrare in contatto con la Bestia.


In passato questa fiaba originariamente scritta da Jeanne-Marie le Prince de Beaumont veniva spesso regalata alle giovani donne che si ritrovavano spose contro la loro volontà, per dar loro una speranza: Sotto l'uomo che a loro poteva sembrare bestiale, perché di lui non erano davvero innamorate, si potrebbe nascondere un animo gentile e onesto.

La storia, di per sé, non ha forse questo grande intento educativo che a lungo le è stato attribuito: il principe non è certo una di quelle persone che tutti vorremmo incontrare una volta nella vita; il suo incontro con Belle in realtà è una prigionia, almeno inizialmente, dovuta al fatto che sa che manca poco tempo alla caduta del petalo di rosa che lo separa dalla trasformazione definitiva e vuole assolutamente fare buona impressione su di lei, ma poi, come d'incanto, se ne innamora sul serio, al punto da lasciarla libera di andar via.
Insomma, la morale c'è, ma non è tanto forte quanto forse abbiamo sempre creduto, o forse questa è l'impressione che ha dato a chi, come me, dopo aver visto e rivisto il cartone in un'età in cui non si fa troppo caso a queste cose, si trova di fronte al film da grandicella.

Questa versione ( diretta da Bill Condon e scritta da Evan Spiliotopoulos e Stephen Chbosky) è abbastanza fedele al classico Disney uscito ormai ventisei anni fa.
Molte scene sono riprese esattamente come quelle animate, ed è un piacere rivedere quelli che erano dei semplici disegni muoversi oggi interpretati da persone in carne e ossa.
E' sicuramente stato fatto un ottimo lavoro di studio del cartone, peraltro primo film d'animazione a essere candidato agli Oscar come miglior film.

Un'importante novità, che ha suscitato scalpore e controversie, è la comparsa del primo personaggio omosessuale dichiarato: è Le Tont (Josh Gad),che comunque, posso assicurare, non genera nessuna "propaganda omosessuale"come qualche volantinaggio avvenuto in questi giorni ha provato, invece, a sostenere.
Si vedono, però, diversi baci tra Lumiére e Spoverina.

Sempre a proposito degli oggetti animati, vediamo che il cast è folto di grandi nomi: Emma Thompson e Mrs. Bric, la teiera; Ewan Mc.Gregor è proprio Lumiére, il candeliere; innamorato di Spolverina, ovvero di Gugu Mbatha-Raw; Ian McKellen è Tockins; Audra McDonald è infine l'intonata Madame Guardaroba.

La colonna sonora, di Alan Menken (che aveva lavorato anche per quella dell'omonimo  film d'animazione)i nclude diversi brani originali, con l'aggiunta di nuovi. E' forse questa la cosa più bella del film, che anche nella sua versione animata colpiva proprio per la presenza di canzoni orecchiabili e molto piacevoli.
Ci ritroviamo a canticchiare testi che, anche se non sentiti per anni, si sono depositati un po' nella memoria di tutti.

Buona visione, quindi, ma soprattutto buon ascolto.

G.

venerdì 24 marzo 2017

Omicidio all'italiana

Acitrullo non è un paese per giovani.
Con i suoi sedici abitanti, tutti anziani, l'assenza di nuove tecnologie, un alto tasso di analfabetismo, Acitrullo non è decisamente un paese per giovani.
Lo sanno bene il sindaco Piero Peluria (Maccio Capatonda) e il vicesindaco, suo fratello Marino (Herbert Ballerina) che si ritrovano a dover inscenare un omicidio pur di portare un po' di notorietà alla loro cittadina, grazie al turismo e all'interesse crescente dei media.
Il loro piano riesce in pieno, e Acitrullo si ritrova invasa da turisti curiosi, poliziotti che tentano di indagare e giornalisti di punta che prendono il loro posto, prima tra tutti Donatella Spruzzone (Sabrina Ferilli) con la troupe del celeberrimo programma "Chi l'acciso?".
Finalmente Piero e Marino possono dirsi soddisfatti: sono riusciti nell'intento di donare luce alla loro piccola amministrazione, rendendola celebre quanto Cogne, Avetrana...


Il surrealismo di Omicidio all'italiana fa sorridere amaramente: Questa realtà parallela è più vicina al vero di quanto vorremmo e di quanto dovrebbe essere.
Sembra di vedere sulla scena una sorta di rappresentazione di Cattiva, celebre testo di Samuele Bersani, che nonostante abbia compiuto ben quattordici anni è estremamente attuale.
Siamo davvero un popolo affascinato dal turpe, andiamo in vacanza in luoghi di famosi delitti del passato, postiamo un selfie con un truffatore, permettiamo ad un assassino di diventare testimonial di qualche prodotto che verrà messo sul commercio.
Una tendenza che non va a scemare, e che anzi è talmente riconosciuta e riconoscibile da diventare parte fondante della trama di un film.

 L'abilità di Maccio Capatonda, come già dimostrato nel suo primo lungometraggio (Italiano medio del 2015) consiste nel trattare in maniera del tutto insolita, ironica e sfacciata temi importanti, consentendo delle sue pellicole più letture: Temo che non tutti capiranno realmente la volontà di denuncia del regista (e co-sceneggiatore), oggi come due anni fa, e si limiteranno a una forte risata di fronte alle battute dei protagonisti.

Il film è caratterizzato da citazioni più o meno evidenti a canzoni e film, da battute divertenti e da riflessioni mascherate sotto la comicità del tutto originale a cui ci hanno abituato i personaggi di Maccio.
Una commedia grottesca che lascia con l'amaro in bocca.
G.

mercoledì 1 marzo 2017

La pazza gioia

A Villa Biondi, una casa che accoglie donne con problemi mentali e qualche precedente penale alle spalle, si incontrano Beatrice (V. Bruni Tedeschi) e Donatella (M. Ramazzotti).

La prima, snob e poco incline al lavoro di gruppo, è sempre pronta a dare consigli a medici e assistenti dall'alto della sua convinzione di essere lì per puro errore giudiziario.
Si sente al di sopra di tutto e di tutti e non vede l'ora di tornare a casa dai suoi amici, tra cui, ricordiamo, Clinton, Armani, Clooney.

La seconda si percepisce sempre come una presenza fuoriluogo. Malata di depressione, con un passato difficile di cui ancora porta il peso, continua a domandare scusa per ogni movimento che fa, e ha come unico desiderio quello di riabbracciare suo figlio.

L'ottimismo incosciente di Beatrice convincerà la seconda a tentare la fuga dalla Villa e le due donne, così diverse tra loro, si ritroveranno a vivere un'esperienza assolutamente unica.

Incoscienza è proprio la parola chiave di tutto questo film che vede come vera protagonista una Valeria Bruni Tedeschi come non l'abbiamo mai vista: una bravura (sicuramente data anche dal ruolo disegnato per lei) imbarazzante, da rimanere con gli occhi sgranati a ogni sua frase, sguardo, frecciatina verso chiunque la circondi; Donatella in primis.
La sua gioiosa follia è contagiosa: questo è uno dei personaggi più belli dei film degli ultimi anni.

Incredibile anche Micaela Ramazzotti, che smorza gli entusiasmi della sua compagna d'avventure. Una sorta di "grillo parlante" che riporta coi piedi per terra la nuova amica.

La loro ricerca della felicità parte quasi per caso e sembra destinata al fallimento.
Ma la felicità si trova: nei posti belli, nei bicchieri di cristallo, nel buon vino, nelle persone gentili... e non resta che provare a cercarla in ogni modo.

Il film, che ha già guadagnato diversi riconoscimenti, oltre che una calda accoglienza da parte della critica, è ora candidato a diciassette David di Donatello.

Grazie alla sua delicatezza, La pazza gioia ipnotizza lo spettatore e lo porta a non staccare nemmeno per un secondo lo sguardo dallo schermo.
La delicatezza della sceneggiatura di Francesca Archibugi e Paolo Virzì dona alla pellicola un qualcosa di unico, e rende ogni dialogo esattamente come dovrebbe essere.
Molto belle anche le musiche (di Carlo Virzì) e il magistrale uso del brano di Gino Paoli "Senza fine".
L'occhio del regista (sempre Virzì, autore pure del soggetto) è attento al dettaglio: questo film è curato nei particolari, è tecnicamente perfetto anche nella fotografia, nel montaggio, nei costumi... e si vede. Basti pensare alla caratterizzazione delle due protagoniste femminili, così diverse non solo nel modo di porsi e nello stile di vita, quanto nell'aspetto, nell'abbigliamento e nello stile.
























Virzì disse di aver avuto l'idea dei due personaggi guardando le due donne, durante una pausa dalle riprese di un film precedente a cui stava lavorando con Valeria Bruni Tedeschi, camminare mano nella mano, insicure ma fiduciose l'una dell'altra, nel fango e nella neve.
La pellicola ha un sapore internazionale, ma strizza l'occhio anche alla più recente tradizione italiana.
Fa sorridere, fa commuovere.
Meraviglioso, davvero.

G.