mercoledì 15 novembre 2017

La verità è che non gli piaci abbastanza

Diretto da Ken Kwapis La verità è che non gli piaci abbastanza è una commedia romantica del 2009, adattamento cinematografico dell'omonimo romanzo di Liz Tuccillo e Greg Behrendt. 

Ambientato a Baltimora, questo film corale racconta le vicende amorose di uomini e donne, alle prese con primi appuntamenti, goffe interpretazioni dei segnali dell'altro sesso, matrimoni in crisi e fidanzamenti storici che però non vogliono evolvere in qualcosa di più. Ogni protagonista è in qualche modo collegato a un altro, in questo modo il film procede senza soluzioni di continuità in modo piacevole, e, nonostante il grande numero di personaggi, senza difficoltà per lo spettatore.
Ogni personaggio è infatti ben caratterizzato, in ognuno è possibile identificarsi e riconoscere o meno i propri atteggiamenti e comportamenti. La caratterizzazione passa inoltre anche attraverso i look, un plauso va dunque anche al lavoro più tecnico dei costumisti.

Il filo conduttore è l'amore, che nasce, che finisce, che si evolve e che si rivela. La verità è che non gli piaci abbastanza tenta così di essere un piccolo manuale sull'argomento, nonostante le numerose defiance fatte di luoghi comuni e stereotipi che però vengono perdonati vista la leggerezza con cui vengono affrontate le tematiche. 
La commedia, in effetti in sé fin troppo prevedibile, risulta piacevole grazie a un cast stellare che annovera nomi come quelli di Jennifer Aniston, Ben Affleck, Bradley Cooper, Drew Barrymore, Scarlett Johansson, Justin Long.
Meritevole anche il lavoro di regia e sceneggiatura, che fanno in modo di mettere (quasi) tutti i protagonisti sullo stesso piano, dando a ognuno i propri spazi e tempi e facendo sì che non "ci si dimentichi" di nessuno durante la visione. 
Molto pop la colonna sonora, che accompagna i momenti salienti con hit perfette per la circostanza.


Che dire dunque? Comprate pure una confezione di biscotti, infilatevi sotto le coperte, e concedetevi una serata leggera in compagnia di questo film!

G.

giovedì 2 novembre 2017

Thor 3: Ragnarok

Thor: Ragnarok, film molto atteso, è il terzo episodio della saga del Dio del Tuono e anche il diciasettesimo del MCU (Marvel Cinematic Universe).



La regia è di Taika Waititi.

In questo Thor, riprendendo gli eventi del MCU, ci troviamo due anni dopo ciò che è successo in “Avengers: Age of Ultron”. Il Dio del Tuono, sempre interpretato da Chris Hemsworth, si ritrova bloccato sul pianeta Sakaar ma deve tornare ad Asgard per fermare Hela, la sorella e Dea della Morte, e il Ragnarok.

A differenza dei primi due film, questo è decisamente dai toni molto più leggeri, scherzosi soprattutto nei dialoghi e questo richiama in particolare un altro film del MCU “Guardiani della Galassia”, l’aspetto della commedia è lo stesso. Spettacolari gli effetti speciali grazie anche all’uso di queste nuove tecnologie.

Non mancano ovviamente gli aspetti che fanno da collegamento nell’universo Marvel: la comparsa del Doctor Strange (Benedict Cumberbatch), la presenza di Hulk (Mark Ruffalo), anche lui bloccato nel pianeta da due anni in questo suo mostruoso aspetto che è protagonista di un combattimento molto divertente in un’arena con lo stesso Thor, e che gli sarà d’aiuto nel ritorno ad Asgard per sconfiggere Hela, interpretata da una fantastica Cate Blanchett che è la villain del film; inoltre non poteva mancare in un film Marvel il consueto cameo di Stan Lee, interprete del “vecchio” responsabile del nuovo look del protagonista e, non meno importante la scena del dopo titoli di coda che è il collegamento principale con ciò che avverrà nei prossimi film del MCU.

È al cinema dal 25 Ottobre anche in 3D, per chi segue l’universo cinematografico della Marvel è da vedere.


F.

venerdì 8 settembre 2017

Moglie e Marito

Sofia (Kasia Smutniak) e Andrea (Pierfrancesco Favino) sono una coppia infelice. Conduttrice televisiva lei, medico chirurgo lui, sono arrivati a un bivio del loro matrimonio, ormai totalmente privo di comunicazione, tanto da decidere di intraprendere la terapia di coppia.
Il consiglio è uno solo: provare a empatizzare di più l'uno con l'altra.
Proprio questo consiglio verrà effettivamente, anche se per sbaglio, preso alla lettera: Andrea, infatti, ha progettato una macchina in grado di leggere il pensiero umano, macchina, che, per colpa di un cortocircuito, fa sì che la mente dei due si scambi.
E così Sofia diventa Andrea, e Andrea, invece, Sofia.
I due si ritrovano nel corpo dell'altro, ma con il loro originario cervello, le loro sensibilità, le loro abitudini e i loro modi di gesticolare, di dire e di comportarsi.
Sarà forse questo "mettersi nei panni altrui" a portare un po' di pace?

Esordio alla regia del giovane Simone Godano, "Moglie e Marito" è una simpatica commedia che ricalca una canovaccio certo non nuovo, quello dello scambio di corpi, ma rivisitato in maniera originale.
Ben disegnati i due protagonisti e la figura, seppur marginale, del collega di Andrea, Michele (Valerio Aprea). Ottime, ma su questo non avevamo dubbi, le prove recitative di tutto il cast.
Interessante anche tutto l'aspetto tecnico, dai costumi, alle scenografie.

Certo, non è questo un film da vedere e rivedere, ma resta una pellicola piacevole in grado di farci capire l'importanza di provare, ogni tanto, a capire le ragioni di chi abbiamo di fronte.

G.

mercoledì 26 luglio 2017

Letture: Il drago di carta


Pubblicato nella collana Giovani Orme per Augh! Edizioni, Il drago di carta è una favola senza tempo, che può piacere tanto ai grandi quanto ai bambini.
Lasciatevi coinvolgere dalle parole di Simone Pozzati , che si cimenta senza difficoltà per la prima volta nella scrittura per i più piccoli, e dagli splendidi disegni di Valeria Cerilli che arricchiscono il testo, rendendolo ancora più gradevole.

Ci troviamo di fronte a un racconto metafantastico, a un intreccio di immaginazioni, che rende possibile quello che  solo nei sogni succede.
 E’ così che, dopo la filastrocca che è solita ripetersi, Annabella si addormenta e veniamo catapultati nel suo mondo onirico.
E’ in questo luogo incantato che prendono vita le avventure di Jim, bambino in carne e ossa, e Graf, drago dal primo disegnato.
Ci immergiamo per un po’ nei giochi di Jim e Graf, nelle loro diversità, nei loro dubbi; li vediamo crescere e cambiare, ognuno con le sue necessità ed esigenze…

La storia scorre fluida, fa sorridere e riflettere, tanto che ci si domanda se davvero sia destinata solo ad un pubblico molto giovane.
Se è vero poi che “anche l’occhio vuole la sua parte”, possiamo concludere dicendo che l’atmosfera magica è tale grazie alle illustrazioni che accompagnano il brano e in un certo modo ne riassumono i momenti salienti.

Buona lettura a tutti!
G.


Autore: Simone Pozzati
Illustrazioni: Valeria Cerilli
Collana: Giovani Orme
ISBN: 978-88-9343-138-5
Prezzo di copertina: 9.90 €
Pagine: 42




lunedì 17 luglio 2017

P.S. I Love You


Film del 2007 tratto dal libro omonimo di Cecelia Ahern e diretto da Richard LaGravenese.





È la storia di Holly (Hilary Swank) una giovane donna sposata con Gerry (Gerard Butler), il suo grande amore. La sua vita viene sconvolta nel momento in cui il marito dopo una malattia muore.

Nel giorno del suo trentesimo compleanno scopre che il marito prima di morire le ha scritto delle lettere che le vengono recapitate nel corso dei mesi. Queste lettere le permettono di vivere piccole avventure e di riscoprire la vita superando la morte del marito.

È una storia d’amore in cui quello che viene mostrato è quel senso di solitudine che si genera dalla morte della persona amata e la conseguente elaborazione del lutto che porta la protagonista ad andare oltre, in tutto questo sempre aiutata dal marito. Le lettere diventano la rappresentazione di un amore che c’è sempre anche oltre la morte ma non per questo la vita di chi rimane finisce.

È un film semplice senza troppe pretese che punta sull'aspetto emotivo, dato non solo dalla trama ma anche dalle musiche o dalle riprese delle bellissime campagne irlandesi.

Obiettivo assolutamente centrato in pieno, insomma una sola scatola di fazzoletti non è sufficiente!


F.

giovedì 6 luglio 2017

Questione di karma

Commedia del 2017, Questione di karma racconta dell'esperienza dell'ingenuo Giacomo (Fabio de Luigi), un uomo ricchissimo che vive con un'ombra da quarant'anni: capire perché suo padre si è suicidato.
Convintosi, grazie ad un manuale, di poter scoprire il nome della persona in cui il padre si sarebbe reincarnato dopo il suicidio, Giacomo si reca dall'autore di tale teoria e si convince di dover rintracciare Mario Pitagora. Lo trova (Elio Germano) e prova a stringere con lui un rapporto. Mario capisce presto di trovarsi di fronte a una gallina dalle uova d'oro e sta subito al gioco.
Sullo sfondo la famiglia di Giacomo: La mamma (Stefania Sandrelli), pronta a difenderne ogni stranezza; la sorella pragmatica (Isabella Ragonese) e lo storico compagno della mamma, Fabrizio (Eros Pagni), pronto, pure lui, a prendersi gioco della bambinesca bontà di Giacomo.


Edoardo Falcone non riesce a superare la sua opera prima da regista (l'incantevole Se Dio vuole), con questa commedia piuttosto debole di cui è anche cosceneggiatore e co-autore del soggetto (assieme a Marco Martani).
Un vero peccato, se si considera il livello tendenzialmente alto di pellicole dai due scritte.
Purtroppo in questo caso c'è proprio una fiacchezza di fondo che fa sì che il film, che non è certo il peggior film mai proiettato, non riesca a prendere il volo praticamente mai.
Nessun colpo di scena, nessunmomento commovente, e nemmeno ci sono particolari scene comiche.
Anche il finale lascia con l'amaro in bocca: con un flashforward veniamo informati di quello che è successo a Giacomo nel giro di un annetto, senza interessarci minimamente a tutti gli altri.

Concludo con una nota positiva, spendendo due parole favorevoli, tanto per la regia di Falcone quanto per la prova recitativa dei vari protagonisti, a partire dai due personaggi centrali, fino ai vari attori comprimari.

G.

venerdì 9 giugno 2017

Fortunata

Tornano di nuovo a far parlare di sé Sergio Castellitto e Margaret Mazzantini (regista lui, sceneggiatrice lei) con l'ultimo capolavoro nelle sale: Fortunata.

Torna pure Jasmine Trinca, che dopo la memorabile interpretazione in "Nessuno si salva da solo", veste di nuovo i panni della protagonista, per la coppia. Questa volta è Fortunata, una parrucchiera porta a porta della periferia romana, sempre di fretta, sempre pronta a mettersi in gioco, sempre fiduciosa nel fatto che a breve aprirà un negozio con Chicano (Alessandro Borghi), e finalmente le cose gireranno nel verso giusto.
 Con Fortunata vive Barbara, (Nicole Centanni), la figlia che lei ha avuto da Franco (Edoardo Pesce),  marito viscido da cui si sta separando.
La bambina sta vivendo la difficile separazione dei genitori, e a causa dei suoi comportamenti viene segnalata ai servizi sociali, e affidata al dottor Patrizio Malaguti (Stefano Accorsi), che piomberà a sconvolgere i piani di Fortunata.

La realtà di una periferia, colorata, multietnica, difficile, è rappresentata in maniera così vivida come non si vedeva da tempo.
La cura nella scenografia (Luca Merlini), nella fotografia (Gian Filippo Corticelli) e nei costumi (Isabella Rizza) dei protagonisti è quel dettaglio che rende questo film non solo pieno di contenuto, ma anche vivo di bellezza.

Le scale dei valori dei personaggi, così diverse tra loro, trovano tutte spazio per essere raccontate, e ci permettono di innamorarci, di essere inorriditi, di giustificare o di condannare gli atti con un'empatia che si crea in meno di due ore e che ci fa quasi sentire sotto la pelle le sensazioni di tutti i protagonisti.

La penna di Margaret Mazzantini, così attenta al quotidiano dei margini non tarda a farsi riconoscere, ed è semplicemente un porto sicuro che non deluderà i suoi ammiratori.
I ruoli dei vari attori sembrano scritti appositamente per loro: la piccola Barbara è perfettamente calata nella parte, la bravura di Jasmine Trinca lascia ogni volta senza parole, come se non ci si abitui mai, la coppia Alessandro Borghi-Hanna Schygulla (che interpreta la di lui madre, ex attrice teatrale ormai malata di alzheimer) funziona benissimo, la cattiveria di Edoardo Pesce spaventa.
Unico neo, per fare i pignoli, è, nella comunque buona interpretazione di Stefano Accorsi, l'accento del nord (lo psicologo è genovese), che pare forzato in più tratti.

Dietro le quinte del film














Il film, candidato a sette nastri d'argento e vincitore già di un premio tecnico (quello per il miglior sonoro in presa diretta, vinto da Alessandro Rolla), ha anche fatto collezionare a Jasmine Trinca il premio come miglior interpretazione all'ultimo festival di Cannes.
G.

giovedì 8 giugno 2017

Scappa-Get out

Chris (D. Kaluuya) e Rose (A. Williams) sono una giovane coppia multietnica.
Lei bianca, lui nero, decidono, a pochi mesi dall'inizio della loro relazione, di andare a trovare per la prima volta i genitori di lei. Chris è un po' spaventato dal fatto che i suoi "suoceri" non sappiano del suo colore della pelle, ma Rose fa di tutto per tranquillizzarlo: il papà (B. Withford) è un grande sostenitore di Obama, e anche la mamma (C. Keener) non è per niente vicina al razzismo.

Arrivati in villa però iniziano a succedere delle cose strane: Chris nutre sospetti nei confronti di tutti quelli che lo circondano, nota gli sguardi e i commenti fatti dagli amici della famiglia della sua ragazza, e nel giro di pochissimo tempo si trova in una situazione di estremo pericolo, che servirà a fargli ben capire in che guaio si è messo...


Thriller/Horror a sfondo razziale, non però così scontato come potrebbe sembrare all'inizio, Scappa-Get out è l'opera prima di J. Peele (che ne è anche sceneggiatore).

Consigliato a chi vuole provare un paio d'ore di brivido, grazie all'efficacia della trama, che di molto si discosta dagli horror classici, della musica (curata da M. Abels), e degli aspetti scenici, di certo in grado di creare atmosfere inquietanti.
Sconsigliato a chi si aspetta colpi di scena che fanno saltare dalla poltrona, scene particolarmente violente o spargimenti di sangue
G.

sabato 1 aprile 2017

La verità, vi spiego, sull'amore

Tratto dall'omonimo romanzo di Enrica Tesio, La verità, vi spiego, sull'amore racconta la vita di Dora (Ambra Angiolini), mamma ormai single di due splendidi bambini, che non riesce a lasciarsi completamente alle spalle il ricordo di Davide (Massimo Poggio), che l'ha lasciata dopo sette anni d'amore.

In questo film dal ricchissimo cast potrete vedere personaggi non stereotipati, mai resi macchiette, nonostante le loro grandi particolarità che avrebbero potuto facilmente rendere loro vittime di caricature: abbiamo infatti, oltre ad Ambra Angiolini, mamma indaffarata e sempre di fretta, e Massimo Poggio, papà premuroso nonostante le distanze che lo separano dai figli, un meraviglioso Edoardo Pesce nel ruolo di Simone, tato dei figli di Dora; Carolina Crescentini, che riveste i panni di Sara, amica della protagonista cui non interessano relazioni a lungo termine, due consuocere (Giuliana de Sio e Pia Engleberth) che più diverse non si potrebbe; un cameo di Arisa, collega gattara e impicciona di Dora. Bravissimo anche il bambino che interpreta Pietro, il figlio più grandicello: cinque anni di talento!
Tutti caratteri molto diversi tra loro ma ben caratterizzati, senza mai cadere nel ridicolo, e, anzi, il film riesce, nonostante la sua breve durata (circa un'ora e trenta) a darci un'idea abbastanza completa di ogni personaggio.

Max Croci torna alla collaborazione con Ambra Angiolini e mai scelta fu più azzeccata.
L'attrice veste perfettamente il ruolo che ricopre e è davvero piacevole l'idea di interrompere ogni tanto la narrazione per permetterle di "rompere la quarta parete", guardare dritto in camera e parlare con noi che stiamo dall'altra parte, anche solo per qualche secondo.

Brillante la sceneggiatura, scritta da Federico Sperindei, che permette alla pellicola di risultare frizzante per un'ora e trenta senza mai annoiare.

Una  bella novità nel panorama italiano, assolutamente da vedere!

G.


giovedì 30 marzo 2017

La Bella e la Bestia (2017)

"E' una storia sai/
Vera più che mai..."

Quella de La Bella e la Bestia è una vicenda tanto conosciuta da rendere quasi superfluo anche il minimo accenno di trama, ma per completezza diciamo che quello che succede è quanto segue.
Un principe, tanto bello quanto altezzoso, rifiuta ospitalità durante una notte di pioggia ad una donna ritenuta troppo brutta per poter essere accolta nel suo castello dorato. La donna si rivela essere una strega, e il principe, la sua corte e tutto il villaggio di cui il principe si occupa sono così vittime di un tremendo incantesimo: il giovane (che in questa versione è interpretato da Dan Stevens) diventa una spaventosa Bestia, chi era al castello in quel momento si trasforma in oggetti comuni, ma parlanti, in questo castello che diventa così isolato da tutto e tutti; e il villaggio dimentica totalmente dell'esistenza di chi non fa più ritorno a casa, oltre che del principe stesso.
La tremenda punizione però può avere fine: Tutto tornerà alla normalità se la Bestia riuscirà a amare e essere ricambiato prima che l'ultimo petalo di una rosa incantata cada.

Come prosegue la storia lo sappiamo più o meno tutti: nel villaggio vicino arriva Belle (Emma Watson) con suo padre Maurice (Kevin Kline), una tipa un po' stramba a cui piace leggere, che non appare assolutamente interessata a quello che fanno le persone sue coetanee e a cui, soprattutto, non interessa minimamente Gaston (Luke Evans), il rozzo ma ambitissimo scapolo che fa strage di cuori.
Sarà proprio Belle, questa outsider d'altri tempi, a entrare in contatto con la Bestia.


In passato questa fiaba originariamente scritta da Jeanne-Marie le Prince de Beaumont veniva spesso regalata alle giovani donne che si ritrovavano spose contro la loro volontà, per dar loro una speranza: Sotto l'uomo che a loro poteva sembrare bestiale, perché di lui non erano davvero innamorate, si potrebbe nascondere un animo gentile e onesto.

La storia, di per sé, non ha forse questo grande intento educativo che a lungo le è stato attribuito: il principe non è certo una di quelle persone che tutti vorremmo incontrare una volta nella vita; il suo incontro con Belle in realtà è una prigionia, almeno inizialmente, dovuta al fatto che sa che manca poco tempo alla caduta del petalo di rosa che lo separa dalla trasformazione definitiva e vuole assolutamente fare buona impressione su di lei, ma poi, come d'incanto, se ne innamora sul serio, al punto da lasciarla libera di andar via.
Insomma, la morale c'è, ma non è tanto forte quanto forse abbiamo sempre creduto, o forse questa è l'impressione che ha dato a chi, come me, dopo aver visto e rivisto il cartone in un'età in cui non si fa troppo caso a queste cose, si trova di fronte al film da grandicella.

Questa versione ( diretta da Bill Condon e scritta da Evan Spiliotopoulos e Stephen Chbosky) è abbastanza fedele al classico Disney uscito ormai ventisei anni fa.
Molte scene sono riprese esattamente come quelle animate, ed è un piacere rivedere quelli che erano dei semplici disegni muoversi oggi interpretati da persone in carne e ossa.
E' sicuramente stato fatto un ottimo lavoro di studio del cartone, peraltro primo film d'animazione a essere candidato agli Oscar come miglior film.

Un'importante novità, che ha suscitato scalpore e controversie, è la comparsa del primo personaggio omosessuale dichiarato: è Le Tont (Josh Gad),che comunque, posso assicurare, non genera nessuna "propaganda omosessuale"come qualche volantinaggio avvenuto in questi giorni ha provato, invece, a sostenere.
Si vedono, però, diversi baci tra Lumiére e Spoverina.

Sempre a proposito degli oggetti animati, vediamo che il cast è folto di grandi nomi: Emma Thompson e Mrs. Bric, la teiera; Ewan Mc.Gregor è proprio Lumiére, il candeliere; innamorato di Spolverina, ovvero di Gugu Mbatha-Raw; Ian McKellen è Tockins; Audra McDonald è infine l'intonata Madame Guardaroba.

La colonna sonora, di Alan Menken (che aveva lavorato anche per quella dell'omonimo  film d'animazione)i nclude diversi brani originali, con l'aggiunta di nuovi. E' forse questa la cosa più bella del film, che anche nella sua versione animata colpiva proprio per la presenza di canzoni orecchiabili e molto piacevoli.
Ci ritroviamo a canticchiare testi che, anche se non sentiti per anni, si sono depositati un po' nella memoria di tutti.

Buona visione, quindi, ma soprattutto buon ascolto.

G.

venerdì 24 marzo 2017

Omicidio all'italiana

Acitrullo non è un paese per giovani.
Con i suoi sedici abitanti, tutti anziani, l'assenza di nuove tecnologie, un alto tasso di analfabetismo, Acitrullo non è decisamente un paese per giovani.
Lo sanno bene il sindaco Piero Peluria (Maccio Capatonda) e il vicesindaco, suo fratello Marino (Herbert Ballerina) che si ritrovano a dover inscenare un omicidio pur di portare un po' di notorietà alla loro cittadina, grazie al turismo e all'interesse crescente dei media.
Il loro piano riesce in pieno, e Acitrullo si ritrova invasa da turisti curiosi, poliziotti che tentano di indagare e giornalisti di punta che prendono il loro posto, prima tra tutti Donatella Spruzzone (Sabrina Ferilli) con la troupe del celeberrimo programma "Chi l'acciso?".
Finalmente Piero e Marino possono dirsi soddisfatti: sono riusciti nell'intento di donare luce alla loro piccola amministrazione, rendendola celebre quanto Cogne, Avetrana...


Il surrealismo di Omicidio all'italiana fa sorridere amaramente: Questa realtà parallela è più vicina al vero di quanto vorremmo e di quanto dovrebbe essere.
Sembra di vedere sulla scena una sorta di rappresentazione di Cattiva, celebre testo di Samuele Bersani, che nonostante abbia compiuto ben quattordici anni è estremamente attuale.
Siamo davvero un popolo affascinato dal turpe, andiamo in vacanza in luoghi di famosi delitti del passato, postiamo un selfie con un truffatore, permettiamo ad un assassino di diventare testimonial di qualche prodotto che verrà messo sul commercio.
Una tendenza che non va a scemare, e che anzi è talmente riconosciuta e riconoscibile da diventare parte fondante della trama di un film.

 L'abilità di Maccio Capatonda, come già dimostrato nel suo primo lungometraggio (Italiano medio del 2015) consiste nel trattare in maniera del tutto insolita, ironica e sfacciata temi importanti, consentendo delle sue pellicole più letture: Temo che non tutti capiranno realmente la volontà di denuncia del regista (e co-sceneggiatore), oggi come due anni fa, e si limiteranno a una forte risata di fronte alle battute dei protagonisti.

Il film è caratterizzato da citazioni più o meno evidenti a canzoni e film, da battute divertenti e da riflessioni mascherate sotto la comicità del tutto originale a cui ci hanno abituato i personaggi di Maccio.
Una commedia grottesca che lascia con l'amaro in bocca.
G.

mercoledì 1 marzo 2017

La pazza gioia

A Villa Biondi, una casa che accoglie donne con problemi mentali e qualche precedente penale alle spalle, si incontrano Beatrice (V. Bruni Tedeschi) e Donatella (M. Ramazzotti).

La prima, snob e poco incline al lavoro di gruppo, è sempre pronta a dare consigli a medici e assistenti dall'alto della sua convinzione di essere lì per puro errore giudiziario.
Si sente al di sopra di tutto e di tutti e non vede l'ora di tornare a casa dai suoi amici, tra cui, ricordiamo, Clinton, Armani, Clooney.

La seconda si percepisce sempre come una presenza fuoriluogo. Malata di depressione, con un passato difficile di cui ancora porta il peso, continua a domandare scusa per ogni movimento che fa, e ha come unico desiderio quello di riabbracciare suo figlio.

L'ottimismo incosciente di Beatrice convincerà la seconda a tentare la fuga dalla Villa e le due donne, così diverse tra loro, si ritroveranno a vivere un'esperienza assolutamente unica.

Incoscienza è proprio la parola chiave di tutto questo film che vede come vera protagonista una Valeria Bruni Tedeschi come non l'abbiamo mai vista: una bravura (sicuramente data anche dal ruolo disegnato per lei) imbarazzante, da rimanere con gli occhi sgranati a ogni sua frase, sguardo, frecciatina verso chiunque la circondi; Donatella in primis.
La sua gioiosa follia è contagiosa: questo è uno dei personaggi più belli dei film degli ultimi anni.

Incredibile anche Micaela Ramazzotti, che smorza gli entusiasmi della sua compagna d'avventure. Una sorta di "grillo parlante" che riporta coi piedi per terra la nuova amica.

La loro ricerca della felicità parte quasi per caso e sembra destinata al fallimento.
Ma la felicità si trova: nei posti belli, nei bicchieri di cristallo, nel buon vino, nelle persone gentili... e non resta che provare a cercarla in ogni modo.

Il film, che ha già guadagnato diversi riconoscimenti, oltre che una calda accoglienza da parte della critica, è ora candidato a diciassette David di Donatello.

Grazie alla sua delicatezza, La pazza gioia ipnotizza lo spettatore e lo porta a non staccare nemmeno per un secondo lo sguardo dallo schermo.
La delicatezza della sceneggiatura di Francesca Archibugi e Paolo Virzì dona alla pellicola un qualcosa di unico, e rende ogni dialogo esattamente come dovrebbe essere.
Molto belle anche le musiche (di Carlo Virzì) e il magistrale uso del brano di Gino Paoli "Senza fine".
L'occhio del regista (sempre Virzì, autore pure del soggetto) è attento al dettaglio: questo film è curato nei particolari, è tecnicamente perfetto anche nella fotografia, nel montaggio, nei costumi... e si vede. Basti pensare alla caratterizzazione delle due protagoniste femminili, così diverse non solo nel modo di porsi e nello stile di vita, quanto nell'aspetto, nell'abbigliamento e nello stile.
























Virzì disse di aver avuto l'idea dei due personaggi guardando le due donne, durante una pausa dalle riprese di un film precedente a cui stava lavorando con Valeria Bruni Tedeschi, camminare mano nella mano, insicure ma fiduciose l'una dell'altra, nel fango e nella neve.
La pellicola ha un sapore internazionale, ma strizza l'occhio anche alla più recente tradizione italiana.
Fa sorridere, fa commuovere.
Meraviglioso, davvero.

G.

lunedì 27 febbraio 2017

Fiore

Poche parole, molti sguardi. Questa è la materia prima di Fiore, film drammatico di Claudio Giovannesi che porta in scena gli ultimi in maniera delicata e piena di dignità.

In un carcere minorile Daphne (D. Scoccia) arrestata per spaccio diventa giorno dopo giorno donna, tra litigi, voglia di libertà, e soprattutto lettere clandestine a Josh (J. Algeri), che, trovandosi nell'ala maschile, non può avere altri tipi di contatto con lei.

La caratteristica di Claudio Giovannesi sta nel dare spazio a attori non professionisti (Daphne Scoccia viene scelta dal regista dopo essere stato a pranzo nel ristorante in cui fa la cameriera; Josciua Algeri è un ex detenuto, che svolge anche il ruolo di consulente esterno vista la sua esperienza), unendo però a questi dei nomi di punta, come Valerio Mastandrea che in questa pellicola interpreta Ascanio, padre di Daphne, appena uscito dal carcere pure lui.












Con le sue scelte tecniche Giovannesi crea quasi un genere nuovo, a metà tra film e docufilm. Non si capisce dove ci sia sceneggiatura e dove semplice occhio puntato sulla realtà dei fatti.

Non si parla molto in Fiore.
Si attende, piuttosto: c'è un forte senso di attesa che investe le persone e le cose e che lascia allo spettatore un'amara ma ancora incantata voglia di riscatto. Un disperato bisogno di amore permea tutto il film e ci fa sentire tutti parte di un unico grande movimento, che è la vita.

Una sorta di moderno "Fleurs du mal" che ci permette di trovare il bello anche nei posti dove non ti aspetteresti di trovarlo.

G.

domenica 26 febbraio 2017

Smetto quando voglio- Masterclass

Pietro Zinni (E. Leo) si rimette alla guida della banda criminale di laureati più famosa d'Italia, ampliata rispetto al passato e più agguerrita che mai nel riuscitissimo sequel di Smetto quando voglio firmato di nuovo da Sidney Sibilia.

Dopo i minuti iniziali, in cui vediamo Pietro a colloquio con Giulia (V. Solarino) e il loro bambino, facciamo un salto indietro di un anno e mezzo e ritroviamo i ricercatori alle prese con le loro nuove vite: qualcuno è in carcere, qualcuno in centro di recupero, qualcuno sta provando a rimettersi in gioco.
La quotidianità viene interrotta però da una proposta da parte dell'ispettrice Paola Coletti (G. Scarano): se Zinni e i suoi riusciranno a dare alla polizia trenta nuove droghe intelligenti, la loro fedina penale tornerà pulita.
Come rifiutare?

Ecco allora la ricostruzione della banda: tornano Alberto (S. Fresi) con la promessa di smettere definitivamente con le droghe; tornano Giorgio e Mattia (L. Lavia-V. Aprea) e la loro vastissima conoscenza umanistica; torna Bartolomeo (L. De Rienzo) che può così staccarsi dalla sua famiglia, che lo opprime, torna l'archeologo Arturo (P. Calabresi) e l'antropologo Andrea (P. Sermonti) che nel frattempo collabora col carrozziere che non lo assunse per colpa della sua laurea a trovare giovani laureati che provano a nascondere il loro titolo di studio.

Ma si uniscono a questo cast così variegato anche tre nuovi elementi: Giulio (M. Bonini), medico che non fece il giuramento di Ippocrate e che grazie alla sua vasta conoscenza dell'anatomia umana vive in Thailandia partecipando a combattimenti clandestini; Lucio (G. Morelli) ingegnere laureato col massimo dei voti che vende armi ai guerriglieri; Vittorio (R. Lisma) esperto di diritto canonico.

Sibilia riesce, nonostante il film sia davvero corale e ricco di attori di punta del cinema italiano, a non lasciare indietro nessuno.
Non c'è nessuno squilibrio, non ci sono personaggi che nascondono gli altri, in nessun punto questa commedia risulta essere confusionaria, rischio che si sarebbe potuto correre, mettendo così tanti personaggi in azione, e la bravura di regista e sceneggiatori (Sibilia-Manieri-Di Capua, quindi una nuova squadra rispetto a quella del film precedente) è la cosa più lodevole dell'intera pellicola.
La regia molto poco canonica è un marchio di fabbrica che già era stato apprezzato nel film precedente di questa trilogia -presto uscirà al cinema Smetto quando voglio- Ad Honorem- e che qui conferma quanto bisogno di novità ci sia nel cinema italiano.
E' evidente che si possa far ridere (ma anche riflettere) con un prodotto di qualità, e in questi anni, per fortuna, registi come Sibilia -che di certo non è l'unico: restando all'interno del cast del film basterà citare Edoardo Leo- lo stanno dimostrando, permettendo una nuova definizione di commedia in Italia.

La sceneggiatura è trascinante: dialoghi serrati, comicità di situazione piuttosto che di battuta, ma comunque grande divertimento grazie agli scambi di battute tra i protagonisti.

Al lato più comico il regista affianca quello puramente "d'azione" e lo fa bilanciando le due cose in maniera magistrale, anche grazie all'aiuto della colonna sonora.

Parlando poi degli attori ogni ruolo sembra essere scritto esattamente per chi lo interpreta: espressioni facciali, toni di voce, movimenti, frasi...

Il progetto di Sydney Sibilia sta avendo un meritato successo.
Non vediamo l'ora di vedere come andrà a finire!

G.

martedì 14 febbraio 2017

C'era una volta Studio Uno


Per la regia di Riccardo Donna, questa nuova miniserie divisa in due serate di RaiUno racconta il dietro le quinte del varietà Studio Uno andato in onda nei primi anni ‘60 ideato da Antonello Falqui e Guido Sacerdote e che vedeva tra i suoi presentatori la grande Mina, a cui praticamente è dedicato tutto il primo episodio.



Tra le protagoniste ci sono tre ragazze, Giulia (Alessandra Mastronardi), Elena (Giusy Buscemi) e Rita (Diana Del Bufalo) che lavorano negli studi rai, rispettivamente come segretaria, ballerina e sarta aspirante cantante, le cui vite si inseriscono inevitabilmente nella realizzazione di questo nuovo show.

Questa miniserie ti fa scoprire tutto il lavoro che c’è dietro a quello che è stato uno degli storici varietà della televisione italiana ma non solo perché c’è anche la storia di vita di queste ragazze che inseguono i loro sogni, inoltre scenografie, costumi e soprattutto le canzoni, i grandi successi degli anni ’60,  portano lo spettatore ad andare indietro nel tempo.

È una fiction un po’ per tutti, per vivere insieme quei tempi che chi ha vissuto ricorda nostalgicamente.


F. 

lunedì 6 febbraio 2017

Zootropolis

Non pensate a Zootropolis come a un film da bambini: vi privereste di un piccolo gioiellino Disney, che merita assolutamente di essere visto da grandi.

La protagonista del 55° classico Disney è la coniglietta Judy, che sin da bambina vuole diventare poliziotto.
Corona il suo sogno, nonostante le preoccupazioni dei genitori, e diventa così il primo poliziotto-coniglio di Zootopia, dove, come lei spesso ricorda, ognuno può diventare ciò che desidera.

Ottimista e fiduciosa, Judy deve presto scontrarsi con la realtà: pare sia di una taglia troppo piccina per le missioni pericolose che lei si sente perfettamente in grado di fronteggiare, e il Capitano preferisce lasciarle svolgere l'attività di ausiliario del traffico.

Ma Judy è entusiasta, continua a credere in se stessa, e grazie alla sua tenacia si troverà coinvolta nella prima indagine della sua vita.
A accompagnarla nelle ricerche la volpe Nick, truffatore furbetto che lei aveva avuto modo di conoscere il primo giorno di lavoro.

Il film tratta temi "adulti" quali i luoghi comuni di cui spesso si è vittime a causa delle proprie origini; il razzismo che spesso colpisce chi ci circonda nell'indifferenza o ancora nell'inconsapevolezza (all'inizio del film un animale si rivolge a Judy dandole della tenera e lei risponde che un conto è che a dire tenero a un coniglio sia un altro coniglio; un conto è che l'aggettivo arrivi da un altro animale: un po' come succede nel processo di riappropriazione di termini connotati come razzisti all'interno delle comunità nere).

Ma è anche un film ironico, con diversi momenti esilaranti!












Alcune chicche disseminate nel cartone sono:
-Citazioni ad altri film e serie tv, come "Il Padrino" e "Breaking bad"
-Citazioni a marchi famosi, come la apple (basta guardare il logo del telefono della protagonista!)
-La presenza di Gazelle, cantante famosissima con la voce di Shakira


Grandi complimenti vanno quindi alla squadra di sceneggiatori: Jared Bush e Phil Johnston; oltre che a tutto il team che si nasconde dietro la grafica, davvero spettacolare.

Voto: 8/10!

G.

domenica 5 febbraio 2017

La battaglia di Hacksaw Ridge

Mel Gibson si cimenta nel dirigere la vera storia di Dobson Doss, primo obiettore di coscienza, che operò durante la seconda guerra mondiale, senza mai utilizzare un'arma.

Cresciuto in una famiglia modesta, secondo principi religiosi molto solidi e altrettanto rigidi, Dobson si arruola giovanissimo, pronto a servire il paese come medico e con la convinzione di non toccare mai armi da fuoco.
Convinto che in un paese che si sgretola giorno dopo giorno sia importante provare a rimettere insieme i pezzi, piuttosto che contribuire alla distruzione, Dobson vivrà momenti non facili.
Ricattato dai superiori, reso vittima di bullismo dagli altri soldati semplici, la sua scelta coraggiosa lo porterà nella storia.

Il film, candidato a sei oscar, riesce a coinvolgere lo spettatore al punto giusto, nonostante il cast non annoveri nomi stellari: Nei panni del protagonista vediamo Andrew Garfield, che se la cava piuttosto bene ad interpretare un giovane fuori dagli schemi, quasi un outsider, che non assomiglia a nessuno e non fa nulla per cambiare; sua promessa sposa è la bellissima Teresa Palmer, che si muove come una macchia di colore in un mondo grigio quale può essere quello in periodo di guerra; fondamentale è la presenza del Sergente Howell, un Vince Vaughn che non ci fa assolutamente rimpiangere i suoi ruoli più comici.

La bellezza di questo film è infatti racchiusa in elementi più tecnici: fotografia e montaggio. La prima è firmata da Simon Duggan, il secondo da John Gilbert.

La luce è l'elemento davvero caratterizzante dei vari personaggi e delle varie ambientazioni nelle immagini che scorrono sullo schermo; l'intreccio è ben reso proprio grazie al montaggio che ci permette di scandagliare meglio l'animo del protagonista maschile.


Bella anche la sceneggiatura, avvincente, sopratutto tenendo in considerazione che siamo di fronte a un film di guerra. Gli sceneggiatori -Andrew Knight e Robert Schenkkan- riescono, infatti, a bilanciare molto bene la "cronaca" alla storia biografica dei personaggi.

G.

martedì 31 gennaio 2017

Captain Fantastic

Un film così surreale da impedirti di scegliere da che parte stare.
Così potrebbe essere descritto Captain Fantastic secondo lungometraggio diretto e sceneggiato da Matt Ross.

Ben (V. Mortensen) si impegna a educare i suoi sei figli senza l'aiuto della moglie (che muore dopo mesi di ricovero per via di un disturbo bipolare) nel modo meno convenzionale che si sia mai visto.
I suoi ragazzi, senza andare a scuola, si allenano duramente ogni giorno, parlano più lingue, sono esperti di attualità, potrebbero sopravvivere nelle foreste solo con un coltello a portata di mano, e sanno orientarsi grazie alle stelle.


Beh, detta così pare che l'educazione impartita a questi giovani non abbia difetti: fisicamente preparati, colti in diversi campi, sembra proprio che questo padre stia facendo un ottimo lavoro.
Ma i suoi figli non sanno nulla del mondo: Conoscono Nike, la Vittoria, non sanno cosa siano le Nike, le scarpe sportive; sanno uccidere un animale e cibarsene, non sanno cosa sia un frullato; sanno snocciolare i rischi dello scalare pareti rocciose, non conoscono i videogiochi.
Insomma, dal più grande al più piccolo vivono in una bolla, totalmente isolati da tutto, e questa cosa inizia a pesare loro.
E forse non è solo una loro preoccupazione...

Fotografia magnifica per questo film drammatico ma ricco di momenti divertenti e soprattutto di spunti di riflessione circa quello che stiamo facendo e il modo in cui stiamo costruendo il nostro futuro.

Certo, le scelte di Ben e della sua defunta moglie sono volutamente esagerate, ma alla luce delle differenze tra questi hippies e quella che è la società odierna e il meccanismo di educazione impartito dai nuclei familiari con cui si confrontano ci si domanda quale strada possa essere la migliore.

La risposta è semplice e facilmente intuibile: la via di mezzo.

sabato 28 gennaio 2017

La la land

"Dedicato ai folli e ai sognatori". Così dice la locandina italiana del film che si è aggiudicato, eguagliando così Eva contro Eva e Titanic, ben 14 nomination agli Oscar, e che ha vinto, record, 7 Golden Globes su 7 nomination ricevute.
Entrare al cinema con un'aspettativa altissima, ecco cosa si rischia.
Aspettativa che naturalmente non può venire attesa al 100%, nonostante questo film sia esteticamente perfetto.

Senza soffermarci troppo sulla trama, che è la cosa meno importante, possiamo semplicemente dire che vivremo le avventure di Sebastian (Ryan Gosling) e Mia (Emma Stone), che si conoscono per caso a Los Angeles.
Pianista jazz pieno di sogni, lui, barista aspirante attrice e sceneggiatrice, lei, tra i due nascerà una storia d'amore.

Il film ci viene presentato come un musical, ma non dobbiamo assolutamente pensare che la musica sia invadente, anzi: protagonista assoluta eppure discreta, non ci farà mai perdere il filo del discorso.

Il vero spettacolo è la regia di Damien Chazelle, che ne è anche sceneggiatore. Il giovanissimo Chazelle sembra seguire le impronte di Woody Allen inserendosi all'interno di una scuola di cinema semantico che migliore non potrebbe essere.

Un gioiello è anche la fotografia, di Linus Sandgren. Impossibile non innamorarsi dell'aspetto esteriore del film, del suo involucro che, in definitiva, ne è anche il suo contenuto.

La colonna sonora, invece, è stata interamente composta da Justin Hurwitz, i testi sono di Justin Paul e Benj Pasek.

I due attori danno una prova di bravura non indifferente: ballano, cantano e recitano.
Recitano soprattutto: alcune sequenze del film sono già iconiche, alcuni scambi di sguardi tra i due protagonisti ti si piazzano dritti dritti in gola, e là restano.

Fa da sfondo una città come Los Angeles piena di paradossi: c'è una folla rumorosa e una silenziosa solitudine allo stesso tempo; c'è la luce, un arcobaleno di colori, ma c'è anche il buio che avvolge le sagome dei personaggi.

Volteggeremo nell'aria con Sebastien e Mia, ci lasceremo trasportare dalle loro speranze, ci commuoveremo pensando alla differenza tra realtà e fantasia, vivremo, concretamente, un' esperienza tra immaginario e non, avvolti da un'atmosfera onirica che ci farà perdere i contatti con ciò che ci circonda, fino a che non si accenderanno le luci.

Ecco, si torna alla vita vera...ammesso che questa non lo sia.


"Dedicato ai folli e ai sognatori", appunto.

G.

domenica 22 gennaio 2017

Nemiche per la pelle

Due donne all'apparenza agli antipodi si ritroveranno a doversi dividere un'importante eredità: Paolino.
Ma andiamo per ordine: Le due donne sono Fabiola (C. Gerini) e Lucia (M. Buy), la prima materialista, cafona e poco attenta ai bisogni altrui, la seconda terapista per animali, sostenitrice del bio e idealista fino al midollo.
Paolino è invece il figlio di Paolo, ex marito di Lucia e attuale marito di Fabiola, che muore lasciando a loro la tutela del figlio di una relazione extraconiugale.
Le due donne si odiano, da sempre. Saranno però costrette a vivere momenti di condivisione  e di intimità, per il bene del piccolo.

Commedia che fa sorridere, certo senza pretese. Molti i luoghi comuni, molte le scenette altamente prevedibili.
Ciononostante il film si lascia assolutamente guardare, grazie non solo all'interpretazione delle due protagoniste (nel cast ricordiamo anche P. Calabresi, migliore amico del defunto Paolo nonché avvocato di Fabiola, e Giampaolo Morelli, fidanzato molto disorganizzato e immaturo di Lucia), quanto il disegno fatto delle due.
Fabiola è una rozza ma simpaticissima riccona, pronta a corrompere chiunque capiti sulla sua strada. La parlata sciatta, l'arredamento animalier del suo studio, i tacchi vertiginosi, accompagnano questo personaggio di cui è impossibile non innamorarsi.
Lucia è attenta agli animi degli animali che ha in cura, legge i fondi del tè, è fissata con le fibre: un "poliziotto cattivo" perfetto per bilanciare la coppia di imprevedibili neomamme.

I complimenti sono pertanto da fare non solo al regista, Luca Lucini, che è stato assolutamente in grado di non annoiare, nonostante l' intreccio non sia certo ricco di colpi di scena, ma anche alle sceneggiatrici: Doriana Leondeff e Francesca Manieri -con le quali Margherita Buy ha collaborato alla stesura del soggetto-.

Finale facilmente immaginabile, per questa commedia che comunque fa passare un'oretta e mezza.

G.

Collateral Beauty


Amore, Tempo, Morte.
Sono questi i tre elementi che caratterizzano tutte le nostre vite, come ci insegna Howard Inlet (W. Smith), brillante dirigente pubblicitario, prima che una tragedia devasti la sua esistenza.
Howard, infatti, dopo la perdita della figlia non riesce più a mettere insieme i pezzi della sua vita: non ha voglia di parlare, non ha voglia di mangiare, non ha voglia di cedere la società.
I suoi colleghi e soci (il trio K. Winslet- E. Norton- M. Peña) sono così, dopo vari tentativi, costretti ad assumere un'investigatrice privata che dimostri l'incapacità del loro "capo" nel prendere decisioni.
Ma l'investigatrice non è sufficiente, e per dimostrare lo stato di follia in cui riversa Howard, i tre colleghi riescono a coinvolgere un gruppo di attori amatoriali (K. Knightley-H. Mirren-J. Latimore) convincendoli a prendere parte a un piano del tutto surreale.

Il film ci insegna a a guardare tutto da un'altra prospettiva: nulla è completamente buono e nulla è completamente cattivo, se si conoscono le motivazioni di determinate azioni.

Di sicuro, oltre alla trama, ricca di simbolismo e volta alla commozione dello spettatore, che si sentirà coinvolto nelle vicende dei singoli protagonisti, riuscendo a empatizzare con quasi tutti, colpisce la regia di questo film, realizzata da David Frankel, per la prima volta alle prese con un film totalmente drammatico.


Splendida poi la sceneggiatura, firmata da Allan Loeb, e la fotografia realizzata da Maryse Alberti: questi due elementi, uniti alla colonna sonora, riescono nell'intento trascinante del pubblico, che si ritroverà più volte con gli occhi lucidi.


G.

mercoledì 11 gennaio 2017

(500) giorni insieme

"Questa è la storia di un lui e una lei..." ci informa una voce fuori campo.
Lui  (Joseph Gordon-Levitt) è Tom, un romantico laureato in architettura convinto di poter essere felice solo dopo aver incontrato il vero amore.
Lei (Zooey Deschanel) è Sole -Summer nella versione originale, tanto che il titolo del film è "500 days of Summer", e in effetti, la traduzione italiana non è veritiera se si considera che i due non staranno propriamente insieme durante quest'arco di tempo-, ragazza bellissima che dopo la separazione dei genitori ha smesso di credere nell'amore tanto da meritarsi battutine sessiste sul fatto che "la pensa come un uomo".

La commedia romantica ci parlerà della storia tra i due, dal colpo di fulmine di Tom fino alla fine della relazione, tra flashback, aspettative, scarti tra reale e immaginato, litigi e dialoghi.




Citando numerosi film (ricordiamo "Il laureato", che oltre a essere citato esplicitamente compare, visto che i due lo guardano in tv; "Mary Poppins" citato durante la scena del balletto che Tom fa, "Blade Runner" nel momento in cui Tom critica Sole riferendosi a lei come a una replicante...) e numerose scelte registiche (è evidente l'ispirazione ricevuta da Allen e da Jeunet in alcune scene: Lo schermo è diviso a metà e vediamo quella che è la differenza tra ciò che Tom si aspettava andando a casa di Sole e ciò che realmente accade; la stessa situazione genera reazioni molto diverse a seconda del momento della storia d'amore in cui si verifica; le cose che avevano fatto perdere la testa a Tom improvvisamente diventano i difetti peggiori di Sole..), Marc Webb passa per la prima volta dalla regia di videoclip a quella di un lungometraggio.

Nonostante la sceneggiatura debole e la trama piuttosto scontata, sono proprio le scelte operate dal regista e quelle della fase di montaggio a rendere il film un bell'esperimento, qualcosa di non troppo visto, grazie all'intreccio creato all'interno della trama.

Sicuramente da lodare è la colonna sonora: Pixies, Simon & Garfunkel, gli Smiths..ci faranno compagnia rendendo più drammatico, divertente o romantico ogni momento.

Ottimi sono anche gli attori, tra cui spicca, nonostante nell'arco del film si veda ben poco, Chloe Grace Moretz, nella parte della sorellina saggia di Tom.
G.

venerdì 6 gennaio 2017

Io & Annie




Miglior film, miglior sceneggiatura originale, miglior regia, miglior attrice protagonista (D. Keaton): questi i premi Oscar vinti nell'edizione del 1978 da Io e Annie commedia semantica che porta Woody Allen a essere considerato uno dei grandi nomi del cinema mondiale.

Non è tanto importante la storia in sè quanto il modo di raccontarla. Il film ha questa narrazione epifanica che spesso ritroveremo nelle pellicole di Woody Allen (che qui veste contemporaneamente le panni del regista, dell'attore protagonista e, con Marshall Brickman, dell'autore di soggetto e sceneggiatura).

Alvy Singer, comico in analisi da quindici anni affetto da iperattività immaginativa, racconta la sua storia con quello che deve essere stato il più grande amore della sua vita, Annie, a partire dai primi incontri, fino alla definitiva crisi.

La regia di Allen, innovativa indubbiamente, ci permette di viaggiare indietro nel tempo e creare situazioni paradossali: Alvy si ritroverà a parlare con i suoi ricordi, creando situazioni di sdoppiamento e straniamento.
Nel film saranno portate sullo schermo le immagini delle fantasie dei vari personaggi, e si creerà un legame che impedisce di capire dove termina la finzione e inizia la realtà.
Allen inoltre (per la prima di numerose volte) farà parlare i suoi personaggi fuori campo e ci permetterà di sapere cosa realmente pensano (per esempio sottotitolando i dialoghi),a dispetto di quanto dicano.

La sceneggiatura è la vera essenza del film: dialoghi e monologhi entreranno nell'immaginario collettivo, diventando classici e citazioni.
Alvy è in grado di fare un'analisi precisa e puntuale dell'amore e della vita, col suo pessimismo e il suo umorismo mai in conflitto tra loro.














Il film è chiaramente dedicato a Diane Keaton, che nella pellicola (come spesso succede) usa i suoi stessi abiti senza servirsi di costumisti e conserva alcuni comportamenti che la caratterizzano anche nella vita di tutti i giorni.
Titolo originale della pellicola è infatti Annie Hall, soprannome e cognome vero dell'attrice.
La ragazza, inoltre, era davvero la compagna di vita di Allen, il suo vero grande amore, come lui più tardi, dopo la rottura la definì.

Inoltre, inizialmente, il lungo girato della pellicola si incentrava sulla figura del comico.
Fu Allen a decidere il taglio di numerose scene e a trasformare così questo film, che per molti è da leggere come una vera e propria autobiografia della relazione tra i protagonisti, in una commedia romantica nevrotica.
Obiettivo centrato in pieno!


G.

martedì 3 gennaio 2017

Manhattan Nocturne

Porter Wren è un reporter newyorkese al quale sembra impossibile non confidare i propri segreti.
Vista la sua abilità nel risolvere casi complessi, Caroline, una giovane vedova, decide di chiedere il suo aiuto per risolvere il mistero nascosto dietro la morte di suo marito, il noto regista Simon Crowley.
Ma sarà davvero così lineare la richiesta della bella Caroline?


Il film è tratto da un romanzo di Colin Harrison, che deve essere indubbiamente interessante, poiché avvincente e intrigante è la trama del giallo.
Tuttavia, probabilmente a causa del montaggio e della colonna sonora, il film risulta piuttosto lento e noioso.
Non coinvolge tanto quanto potrebbe, e la risoluzione del caso passa in secondo piano rispetto alla pesantezza dello svolgersi delle sequenza.

Inoltre il finale è piuttosto deludente: non voglio spoilerare nulla, ma viste le premesse mi aspettavo certamente di più.

Ciononostante quello che mi preme sottolineare è la bellezza estetica del film: una magnifica fotografia ci accompagnerà tanto negli interni quanto negli esterni, e aiutata da scelte registiche canoniche ma d'effetto farà risultare bella ogni inquadratura.
Belli pure i costumi e le scenografie, che dimostrano come nulla sia lasciato al caso.
Così come eccellente è il lavoro degli attori: Jennifer Beals (che si vede poco) e Adrien Brody (entrambi sono pure produttori del film) sono esageratamente bravi; la sensualità di Yvonne Strahovski è un filo conduttore che guida l'intera trama.

Resta tuttavia l'amarezza per un film che avrebbe potuto essere molto, ma molto di più.

G.